TESTIMONIANZE.
Andrei Brezianu, scrittore
Il Servo di Dio Vladimir Ghika e lo spirito della Deus Caritas Est



Aldilà dei dilemmi e delle incertezze umane e del vasto tesoro delle rappresentazioni pittoriche di Gesù, fatto sta che, nel suo insieme, l’iconografia del Volto di Cristo sembra avere come unica sorgente primordiale, il ricordo di quelle misteriose immagini del Sudario, fatte di sangue e di sudore, immagini dell’Uomo dei dolori descritto da Isaia (53,5-6): il Figlio dell’Uomo, il Messia sottoposto al supplizio e che ha dato la propria vita per amore dei suoi fratelli, gli uomini.
È di questo amore del prossimo nell’amore di Dio, di questo Volto del Cristo nella pratica della carità cristiana, che ha parlato il Santo Padre Benedetto XVI nell’enciclica Deus caritas est. Aprire gli occhi su gli altri tratti di Cristo, saperLo riconoscere nel volto del nostro prossimo sofferente, ecco, in realtà, uno dei modi tangibili, alla portata di tutti, di incontrare in un’altra forma l’immagine del divin Salvatore, cioè nella persona dei nostri simili: vederLo, appunto, e amarLo nel nostro prossimo provato dal bisogno e dalle sofferenze che si incontrano ovunque “in hac lacrimarum valle”.
Nell’questo senso, un passo della recente enciclica del Papa sembra particolarmente toccante. Scrisse il Santo Padre : “Soltanto il servizio del prossimo apre i miei occhi su ciò che Dio fa per me e sul suo modo di amarmi. I santi – pensiamo ad esempio alla beata Teresa di Calcutta – hanno attinto nel loro incontro con Cristo nell’Eucaristia la loro capacità di amare il prossimo in una maniera sempre nuova; e, a sua volta, questo incontro ha toccato il suo realismo e la sua profondità precisamente grazie al loro servizio agli altri” – scrisse il Papa nella Deus Caritas Est (I,18).
I Santi citati nella parte conclusiva dell’enciclica – Martino di Tours, Giovanni di Dio, Camillo de Lellis, Vincenzo de Paoli, Luisa di Marillac, Giuseppe Cottolengo, Giovanni Bosco, Luigi Orione e, una volta di più, la nostra contemporanea, la beata Teresa di Calcutta – ci richiamano il modo in cui essi, attraverso la storia, hanno visto il Volto di Cristo nel volto sofferente del loro prossimo disprezzato, povero, malato, o incatenato nella miseria. Questi Santi ci ricordano le diverse forme di dedizione praticata verso il prossimo sofferente, per amore di Cristo, nello spirito del Vangelo che dice: “Ero nudo e mi avete vestito, avevo sete e mi avete dato da bere, avevo fame e mi avete sfamato…Ogni volta che l’avete fatto verso uno di questi piccoli che sono miei fratelli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 36-40).
Nel questo spirito intendo parlare brevemente del contributo offerto da uno di questi santi dei tempi moderni, uno degli martiri del ventesimo secolo, annientato negli anni Cinquanta in una delle più atroci prigioni della Romanía comunista: il Servo di Dio Vladimir Ghika, sacerdote della Chiesa cattolica, Protonotario apostolico. Nella sua morte, martire della sua fede. Nella sua vita, fratello e benefattore dei più poveri, dei lebbrosi, dei rifugiati, dei carcerati, con i quali ha condiviso, fino alla fine, la vita e le sofferenze.

In questa modesta testimonianza vorrei sottolineare un aspetto particolare della sua spiritualità e missione – la pratica del Vangelo nelle opere di beneficenza e di carità, vissuta dal Servo di Dio in tutta la sua vita: giovinezza; conversione (1902); sacerdozio (1923); prigionía; e morte di martire, la quale avvenne in carcere, all’età di oltre ottant’anni.
Nei suoi discorsi, nelle sue conferenze, e nelle sue opere, come La Liturgia del prossimo, La visita dei poveri (1) Vladimir Ghika parlava con insistenza di quella che non si stancava di chiamare la “teologia del servizio al prossimo”. Era solito dire: “Quale che sia l’incontro provvidenziale che mette la necessità del prossimo sulla nostra via, essa è una visita di Dio”.
Nello spirito di uno dei suoi santi preferiti, San Giovanni Crisostomo, questa teologia del servizio al prossimo indigente, sofferente, povero – chiamata anche del santo dovere di andare in aiuto alle necessità dei nostri simili, nostri fratelli, i poveri – egli la riconduceva alla teologia del Corpo di Cristo, a sua volta Corpo eucaristico e Corpo Mistico. Da una parte, la Chiesa – in cui il Figlio di Dio, l’amore di Dio incarnato – è presente sull’altare sotto le specie sacramentali del suo stesso Corpo e del suo Sangue. Dall’altra, nella persona vivente dei membri sofferenti del suo Corpo mistico che, a loro modo, sono presenti e partecipi della sua passione.
In questo Vladimir Ghika vi vedeva – “una maniera di esercitare un sacerdozio che il Nuovo Testamento e i Concili hanno affidato a ogni cristiano laico. Il laico, nel suo contatto con i poveri, riflette tutta l’azione del sacerdote nella Chiesa: a partire dalla cura delle anime all’amministrazione dei beni materiali e spirituali, fino al sacramento rigeneratore del dono, all’Eucaristia della parola di Dio”.
Troviamo qui, come in una eco precorritrice, – sia pure formulate diversamente – numerose idee e riflessioni provocatorie contenute nella Deus caritas est: particolarmente là dove questo documento fondamentale ci ricorda il legame inscindibile tra la celebrazione del sacramento (leitourgia) e il servizio della carità (diakonia), fattori inconfondibili ed essenziali della vita cristiana,vissuta in pienezza nell’amore di Dio e nell’amore del prossimo (23; 25, a).
Nella Liturgia del prossimo il servo di Dio scriveva: “Abbiamo il dovere di credere pienamente alla parola del Vangelo che dice: “l’avete fatto a me”. L’esercizio della presenza reale di Gesù nella miseria dell’altro si fonda su questa parola che noi crediamo con fede assoluta, come sigillo della Chiesa edello Spirito Santo in essa”. E ancora : “…Doppia e misteriosa liturgia: da parte del povero, che vede venire a lui Cristo sotto le specie del fratello soccorritore; da parte del benefattore, che vede apparire – nel povero – il Cristo sofferente sul quale egli, il benefattore, si piega”.
In che modo, in concreto, possiamo assolvere i suoi doveri della carità?… Attraverso la sollecitudine continua verso il prossimo e, in particolare, verso il povero provato dal bisogno e dalla sofferenza – sottolineava il servo di Dio -. E nella Liturgia del prossimosi domandava: “Con quali gesti tangibili, fondati sulla parola di Gesù nel Vangelo, possiamo compiere questo dovere?: …“vedendo il Cristo unico, immutabile e perfetto, nel il prossimo imperfetto, mutevole e multiplo ( – “il contrario del uno” – , per parafrasare un titolo di Erri di Luca)… Attraverso la santa ossessione della Sua vera presenza nell’altro provato dalla sofferenza che priva il povero delle comodita della vita e lo spoglia rendendolo più semplicemente uomo: proprio là possiamo più facilmente trovare l’Uomo-Dio, scrisseVladimir Ghika.
Vedere il Volto di Cristo nel volto sofferente del povero. Questo tema profondo che ricorre incessantemente nelle meditazioni e nei discorsi di Mons. Ghika, si ritrova – richiamato nei suoi aspetti più pratici – nella Visita dei poveri. E un’opera in cui il Servo di Dio precisa e chiarisce la nozione e i significati concreti della carità verso l’alter ego del Cristo, il nostro prossimo. Il passaggio seguente della Visita dei poveri sembra particolarmente eloquente per il modo in cui, in questo particolare, il pensiero del Servo di Dio suonna come una eco precorritrice di alcune riflessioni della Deus caritas est: là dove Benedetto XVI si sofferma su alcune ambiguità del linguaggio moderno.
Sul tema della carità e dell’amore scrisse il Santo Padre nell’Enciclica: ”Prima di tutto ci troviamo di fronte a un problema di linguaggio. Il termine amore è divenuto oggi una delle parole più ricorrenti, e anche una delle più contraddittorie: una parola della quale vengono date accezioni totalmente diverse. Anche se il tema di questa enciclica si sofferma sul problema della comprensione e della pratica dell’amore nella Sacra Scrittura e nella Tradizione della Chiesa, non possiamo però ignorare il significato che questo termine assume nelle diverse culture e nel linguaggio attuale” (I.2).
“Che cos’è la carità?” – si chiedeva nel medesimo spirito Vladimir Ghika nella sua meditazione sull’amore di Dio nell’amore del prossimo . “Se c’è una parola che l’uso corrente del mondo ha impoverito, è proprio questa! La carità nel significato originale del termine greco e latino è l’amore. L’amore disinteressato, liberato, libero e purificato. La carità è l’amore. Se uno dei termini è stato impoverito dall’uso, fino a significare liberazione momentanea da una miseria materiale, poiché è stato indegnamente legato alla parola fare (come se si potesse fare la carità alla maniera di un semplice gesto meccanico); l’altro e stato profanato fino a indicare qualche cosa de piacevole, e d’altro… Impiegheremo le due parole – amore, carita – illuminandole e chiarendole l’una attraverso l’altra, allo scopo di eliminare l’impoverimento reciproco di cui hanno sofferto. Questa carità, questo amore, sono diretti a Dio e al prossimo in forza del medesimo comandamento che ha fatto delle due parole una sola cosa: Dio, in realtà, è il più prossimo del nostro prossimo; e il prossimo è Dio che mette alla prova in unaltro il nostro amore a Dio!” – scrisse il servo di Dio Vladimir Ghika nella Visita dei poveri.
Mons. Vladimir Ghika fu nipote dell’ultimo principe regnante della Moldavia. Battezzato nella religione ortodossa, si convertì alla fede cattolica. Fu ordinato sacerdote nel 1923. Ancorafedele laico fondò, nel 1906 il primo dispensario medico gratuito in Romanía, e le prime attività caritative cattoliche nella capitale romena: la Casa delle Figlie della Carità di San Vincenzo de Paoli. Organizzò con dedizione esemplare il servizio di ambulanze durante i ammutinamentidel Paese nel 1907.
Nel 1913, durante una epidemia di colera che, – nel corso della seconda guerra dei Balcani colpì fortemente la zona lungo il Danubio – il giovane Ghika fu volontariamente in quarantena insieme alle Figlie della Carità ed ai contagiati nel lazzaretto di Zimnicea, e li assistè modestamente come infermiere, con ammirevole zelo, dedizione i abnegazione – tanto che lo chiamavano “suor Vladimir”!… Qualche anno più tardi si adoperò per costruire un lebbrosario nel delta del Danubio, vicino alla città di Isaccea. Durante la seconda guerra mondiale assiste i feriti nell’ospedale di San Vincenzo de Paoli di Bucarest. Sotto i bombardamenti visitava i malati, i feriti e i detenuti degli ospedali e delle carceri di Bucarest, mettendosi al pieno servizio di tutti i sofferenti, il cui numero aumentò verticalmente dopo la presa del potere da parte del regime ateo, imposto dall’Unione Sovietica, nel dopoguerra. Infine fu arrestato e chiuso in prigione a motivo della sua fedeltà alla Santa Sede, dove continuò il suo apostolato presso i compagni detenuti fino alla sua morte di martire, all’età di 81 anni: morte avvenuta nel carcere del forte di Jilava, vicino a Bucarest, il 17 maggio 1954.
Alcuni interventi precedenti in questo Congresso, – particolarmente “Il Volto di Cristo nelle opere di misericordia”,“Il Volto di Cristo nel dono della vita dei martiri” – hanno esemplarmente posto in luce quello che è un aspetto fondamentale – il fulcro – della vita cristiana vissuta come sequela di Cristo.
“Pertransiit bene faciendo”, – “Passo beneficando” (Atti degli Apostoli, 10, 38)… Vladimir Ghika si richiama direttamente a questo esempio di Gesù. La testimonianza della vita di questo Servo di Dio, la cui popolarità postuma continua ad aumentare in Romanía – il che lascia presagire i primi passi verso un prossimo processo di beatificazione – costituisce una eco segnalatrice i corroborante di una delle verità più fortemente ribadite nell’enciclica Deus Caritas Est (II,44): “La vita dei santi” – dice il Santo Padre – “non abbraccia soltanto la loro biografia terrena, ma anche la loro vita e il loro operato in Dio dopo la loro morte. Nei santi si fa evidente che colui che si incammina verso Dio non si allontana dagli uomini, bensì si rende per loro veramente prossimo”.

(1) Pubblicate per la prima volta nel 1923 e nel 1932 da Beauchesne, ristampate e tradotte successivamente più di una diecina di volte in Francia e Romania.